Fallimenti, nel 2013 record di 10mila aziende

Fallimenti imprese italiane

Un’economia letteralmente in ginocchio quella italiana infatti l’osservatore Cerved Group ha lanciato un allarme piuttosto preoccupante. Al 2013 infatti sarebbero 10 mila le aziende che hanno dichiarato fallimento, circa 44 aziende al giorno sul territorio italiano infatti non riescono più a mandare avanti la propria attività.

Un dato piuttosto agghiacciante se si pensa che appena un anno fa nello stesso periodo si contavano 8.728 aziende in default arrivando a quota 10mila soltanto ad ottobre. Dunque si sta verificando un vero e proprio accorciamento temporale delle procedure fallimentari che si attesta al +14,8%. Un dato, quello rilevato da Cerved Group che non sorprende gli addetti al settore che avevano già rilevato un tracollo della produzione industriale. Tutto questo va ad aggiungersi a un concreto calo dei prestiti (-4,1% di luglio) e l’aumento delle sofferenze bancarie (+22,9% il tasso di crescita).

Una crisi, quella industriale che abbraccia tutti i settori con la perdita del fatturato pari a 10,2 miliardi che salgono a 28mila se si considerano anche le liquidazioni e le altre procedure. Come sottolinea Roberto Fontana a Il Sole 24 ore:

È un anno terribile e non notiamo nessun rallentamento. Nel 2013 dovremmo superare i 1.200 fallimenti e i 400 pre-concordati. Si tratta per lo più di Pmi, ma, per esempio, la Franco Tosi, in procedura straordinaria, è una grande azienda.

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Dunque la Pmi, che rappresentava lo zoccolo duro dell’economia italiana sta perdendo man a mano ogni possibilità di riscattarsi, considerato che, come sottolinea lo stesso Fontana le società che richiedono il fallimento “non ha uno straccio di attivo”. E sembra non esserci scampo in alcun settore infatti il fenomeno dilagante della crisi ha messo in ginocchio tutti i tipi di aziende, da quelle di servizi, della manifattura a quelle dell’edilizia che rimane il ramo con la maggiore incidenza del fenomeno.

E volendo tracciare una geografia dei fallimenti è rilevante il fatto che il fenomeno non conosce ormai limiti territoriali: i dati infatti registrano un 19,5% nel Nord Est, dell’11,2% nel Centro e del 10,6% nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno.