Record di Iva non pagata, imprese sempre più in crisi

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[dropcap]S[/dropcap]econdo i dati della Guardia di Finanza, sono 423 i milioni persi relativi all’Iva dichiarata ma non versata nel primo semestre di quest’anno. Complice la crisi, i primi sei mesi del 2013 sono quasi riusciti a far raggiungere il dato registrato in tutto il 2012 (428 milioni), e a sfiorare il numero di denunce inoltrate dalla stessa Guardia di Finanza per omesso versamento Iva nel 2010. Se all’epoca se ne contavano 318, nei primi sei mesi del 2013 si è già arrivati a 308 denunce. In vertiginoso aumento anche i casi di compensazioni indebite (ovvero quelle relative all’Iva presunta a credito sottratta da quella a debito), che hanno toccato quota 91 quando in tutto il 2010 erano stati 110, e i casi di resistenza alla riscossione forzata (ovvero alla sottrazione fraudolenta dei beni): da gennaio a giugno di quest’anno hanno coinvolto un patrimonio di 415 milioni, contro i 335 di tutto il 2012.

Cause e numeri della morosità

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L’aumento dei casi di morosità, e dunque delle situazioni in cui un tributo non viene pagato dal contribuente entro il termine stabilito, è riconducibile alla crisi e alla conseguente mancanza di liquidità, che ha colpito in maniera significativa soprattutto i lavoratori autonomi. Secondo le stime dell’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre (Cgia), dal 2008 allo scorso giugno sono stati infatti 400mila i lavoratori autonomi che hanno chiuso le loro attività, facendo registrare un calo del 7.2% pari a più del doppio della percentuale relativa ai lavoratori dipendenti (3.5%). I dati sulle morosità si riferiscono alle sole denunce di reato ma, secondo quanto riportato in una nota di aggiornamento al def 2013, sulla sola Iva la morosità annua media, dal 2003 al 2009, è stata di 6 miliardi di euro. Il documento non chiarisce cos’è accaduto dopo, anche sulle imposte dirette, ma secondo quanto ha confermato alla Camera il 6 giugno scorso il direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera, dal 2012 si può certamente parlare di un aumento dei casi.
Ad incidere sull’impennata delle situazioni di morosità anche le facilitazioni introdotte nel 2011 tramite cui i morosi possono accedere incondizionatamente alla futura rateazione (fino a cinque anni, se l’importo supera 5mila euro) con esigui costi amministrativi. Una scorciatoia, per alcuni tipi di impresa con debiti d’imposta, per evitare di vedersi rifiutato il credito dalle banche.

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L’evasione da riscossione

A differenza della morosità, di fronte ad un caso di evasione il fisco è tenuto ad effettuare un accertamento prima di poter riscuotere la somma ‘nascostagli’ dal contribuente. Due anni fa la Corte dei Conti aveva già registrato che dal 2006 al 2010 quasi un euro ogni due accertati era stato ‘ignorato’ dai destinatari, e la tendenza non sembra decisa a cambiare rotta: sempre più spesso il destinatario di un accertamento regolarmente notificato non reagisce né con un inizio di pagamento né con un ricorso. In tal modo, la notifica diventa definitiva, ma non venendo presa in considerazione dal destinatario comporta solamente uno spropositato aumento di scartoffie. Con riferimento ai soli accertamenti innescati dall’incrocio degli elenchi clienti-fornitori, i giudici hanno posto in evidenza che circa il 90% degli accertamenti “non ha dato luogo ad alcuna reazione del contribuente accertato”, il che “si tradurrà in azioni esecutive affidate ad Equitalia che diverranno quote inesigibili fra alcuni anni”.
A determinare questi casi non sono tanto commercianti o artigiani, quanto dei prestanome in società di capitali che rimangono in vita al massimo un paio d’anni, la durata necessaria per risucchiare tutta la liquidità possibile tramite vendite esentasse. Gli stessi prestanome, poi, scompaiono dopo aver spostato la sede legale lasciando che sia la società di capitali ormai svuotata a fungere da muro di gomma contro cui il fisco si deve scontrare per tentare invano di recuperare le quote ad esso dovute.

Simona Di Michele

Fonti Il Sole 24 Ore