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Il documento di economia e finanza, approvato qualche giorno fa dal consiglio dei ministri, traccia il percorso degli impegni presi dall’esecutivo Renzi in riferimento al mondo dell’economia e del lavoro. Tra i punti toccati, la crescita del pil e la riduzione del cuneo fiscale, il livellamento del rapporto deficit/pil all’attuale 2.5-2.6%, e l’ok al piano di spending review elaborato dal commissario Carlo Cottarelli. Tutto per garantire, da maggio, un aumento di più di 80 euro al mese per i lavoratori dipendenti.
Quanto aumenteranno le buste paga 2014
[custom_frame_left shadow=”on”][/custom_frame_left]Per mantenere fede alla promessa fatta a 10 milioni di lavoratori, a cui aveva confermato l’arrivo da maggio di 80 euro mensili come bonus sull’Irpef, il governo Renzi ha aperto il Def con l’annunciato taglio al cuneo fiscale pari a 6.7 miliardi tra maggio e dicembre 2014. Un valore che, a partire dal 2015, si tramuterà in 10 miliardi su base annua. E che potrebbe permettere di allargare sia la cerchia dei beneficiari del bonus (fino a raggiungere i 15 milioni di lavoratori, incapienti inclusi) che l’entità dell’agevolazione fiscale, potenzialmente in salita rispetto agli 80 euro già garantiti da Renzi ai dipendenti con reddito medio alto.
Ecco che i quasi 4 milioni di incapienti con reddito annuale fino a 8.200 euro, che dunque non ricevono agevolazioni dall’aumento delle detrazioni Irpef perché quelle attuali già gli azzerano completamente l’imposta, potrebbero ricevere fino a 380 euro di bonus mensili dal datore di lavoro. Quest’ultimo, successivamente, potrà recuperare in compensazione le somme anticipate al lavoratore.
Il bonus fiscale sull’Irpef ai dipendenti con redditi più alti, invece, potrebbe addirittura superare la soglia degli 80 euro mensili promessi, grazie all’applicazione fissa dell’importo delle attuali detrazioni Irpef (pari a 1.880 euro) sui redditi fino a 24.000 euro. Chi raggiunge tale soglia guadagnando 1.500 euro al mese potrebbe insomma ottenere un guadagno di oltre 700 euro, pari mensilmente a oltre 87 euro in più in busta paga.
Quanto costerà il lavoro in Italia secondo Renzi
[custom_frame_left shadow=”on”][/custom_frame_left]Ma a che prezzo si pagherà il tanto sbandierato aumento in busta paga? La risposta dovrebbe darla la spending review, che per quest’anno prevede tagli a costi standard e acquisti di beni e servizi per circa 4.5 miliardi. Non solo. A coprire le manovre pro busta paga ci dovrebbero pensare anche ulteriori 400 milioni ottenuti con la stretta sugli stipendi di dirigenti e manager pubblici (per i quali si è stabilito un tetto massimo di remunerazione di 238mila euro), e i circa 2.2 miliardi di Iva che risulteranno disponibili, entro ottobre, dal pagamento di 13 miliardi di debiti da parte della pubblica amministrazione verso le imprese. La salvaguardia degli stipendi dei dipendenti passerà poi attraverso l’aumento fino al 24-26% dell’imposta sostitutiva a carico delle banche (contro l’attuale 12%), e una serie di interventi su difesa, enti inutili, partecipate, incentivi alle imprese, forniture della pubblica amministrazione, per un totale di ulteriori 17 miliardi nel 2015 e 32 miliardi nel 2016.
Il decreto che definirà specificatamente coperture e relative misure di attuazione è atteso per venerdì 18 aprile. Qualche giorno più tardi del previsto per via del passaggio obbligato del Def in parlamento, fissato per giovedì 17.
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L’Italia ai margini europei per il costo del lavoro
Quanto dovrà faticare Renzi per abbassare i costi del lavoro lo dicono anche i recenti dati Eurostat, secondo i quali se il dato nell’Europa a 28 è aumentato del 10.2% (10.4% nell’eurozona), nel nostro paese ha superato abbondantemente la media toccando quota 11.4%. Un valore che non coincide con un aumento degli stipendi in busta paga, ma con quello dei cosiddetti costi non salariali, ovvero tasse che aumentano solo il lordo incidendo negativamente sulle tasche di datori di lavoro e dipendenti.
Nel 2013, secondo l’Eurostat, tale tipologia di costi ha avuto un peso sul costo totale del lavoro per il 23.7% nell’Europa a 28, per il 25.9% nell’eurozona, e per il 28.1% in Italia. Un preoccupante quarto posto conquistato dal nostro paese dopo la Svezia (33.3%), la Francia (32.4%) e la Lituania (28.5%). In termini assoluti, tuttavia, sempre lo scorso anno il costo del lavoro italiano si è attestato a 28.1 euro l’ora, ovvero molto al di sotto di Francia (34.3) e Germania (31.3). Tra i paesi europei l’unica costante sembra essere il divario. Si passa dal Belgio, che si conquista il primato di paese più caro con 39 euro l’ora, alla Grecia che, insieme a cali paralleli in Croazia, Portogallo ed Ungheria, ha fatto registrare un crollo pari al 18.6%.
Tagli Irap per ridurre la pressione fiscale
[custom_frame_left shadow=”on”][/custom_frame_left]Un altro asso nella manica di Renzi in merito al lavoro è quello dei tagli Irap 2014 per circa 880 milioni. Una misura che dovrebbe essere attuata in autunno con la legge di stabilità, preceduta dall’1 luglio da un’operazione di tassazione delle rendite finanziarie che comporterà l’aumento dell’aliquota di imposta sostitutiva dal 20 al 26%. Questa manovra, indicata dal piano nazionale delle riforme approvato dal consiglio dei ministri insieme al Def, per partire dovrà comunque incassare l’approvazione del provvedimento il prossimo venerdì. Con simili tempistiche, l’utilità dei tagli per alleggerire imprese e lavoratori autonomi dal peso fiscale non potrà che farsi sentire dal 2015-2016.
Jobs act, provvedimento renziano
[custom_frame_left shadow=”on”][/custom_frame_left]Ancor prima del Def, il nuovo premier aveva incassato la fiducia per un altro strumento, pensato per riformare il mondo del lavoro. Con la pubblicazione a marzo scorso del decreto attuativo della prima parte del jobs act, il piano concepito dall’esecutivo Renzi ha così potuto dettar legge su una serie di modifiche della disciplina dei rapporti di lavoro a termine e dell’apprendistato, introducendo per i primi la possibilità di stipulare contratti acasuali di durata non superiore a 36 mesi e prorogabili fino ad un massimo di 8 volte, e la necessità che il numero complessivo di rapporti di lavoro costituiti da ciascun datore di lavoro non ecceda il limite del 20% dell’organico complessivo. In riferimento alla semplificazione della disciplina sul contratto di apprendistato, invece, il decreto ha previsto l’eliminazione dell’obbligo di dare forma scritta al piano formativo individuale e di subordinare l’assunzione di nuovi apprendisti alla prosecuzione di precedenti rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato. E ancora, si è riconosciuto che la retribuzione deve tener conto delle ore di lavoro effettivamente prestate, e di quelle di formazione per il 35% del relativo monte ore complessivo.
Tra le altre disposizioni messe in campo dal jobs act, quelle sugli ammortizzatori sociali, i servizi per il lavoro, e quelli per le politiche attive. Per ognuna di queste categorie sono state approvate apposite deleghe che assicurano un sistema di tutele uniformi per i lavoratori in caso di disoccupazione involontaria, e razionalizzano la normativa in materia di integrazione salariale e di incentivi all’assunzione, all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità.
Simona Di Michele
Fonti Il Sole 24 Ore, Repubblica, Il Messaggero, Ansa, Lavoro.gov.it