Riforma del Catasto, si pagheranno più tasse?

Riforma del Catasto. Il testo della legge delega fiscale prevede due direttrici di azione per la modernizzazione del Catasto: nuovi strumenti di controllo all’Agenzia delle Entrate e ai Comuni per scovare gli “immobili fantasma” e un’integrazione delle informazioni relative alle rendite attualizzate e ai valori catastali degli immobili. Ma il premier assicura: nessuna tassa in più.


La riforma del catasto, inserita nella legge di delega fiscale approvata dalla Commissione finanza di Montecitorio, è attesa alla Camera dei deputati nelle prossime settimane. È una riforma richiesta da tempo da Bruxelles e finora mai realizzata. Ora che il Governo Draghi sta lavorando a una sua modernizzazione, gli scontri e le frizioni all’interno della stessa maggioranza di governo e tra il centrodestra e l’Esecutivo si sono acuite. E ciò, nonostante le rassicurazioni del premier sul fatto che la Riforma del Catasto non significherà nuove tasse per gli italiani.

Vediamo, allora, cosa prevede e cosa cambierà con la Riforma del catasto.

 

 

COSA PREVEDE LA RIFORMA DEL CATASTO

Maggiori strumenti di monitoraggio a Comuni e Agenzia delle Entrate e un nuovo sistema di misurazione e rilevazione dei dati catastali degli immobili ubicati su tutto il territorio nazionale.

La Riforma del catasto italiana, auspicata anche nelle Raccomandazioni UE che indicano la necessità di aggiornare i valori fiscali, mira a modernizzare un sistema vigente a partire dal 1939 i cui valori sono stati rivisti solo nel 1990 (due anni prima, nel 1988 per i terreni).

Il fulcro della Riforma del catasto è contenuto nell’articolo 6 della legge delega fiscale approvata dalla Commissione finanze della Camera dei deputati e in attesa di essere discussa nell’aula di Montecitorio.

La norma contiene i “Principi e i criteri direttivi per la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto fabbricati” che il Governo dovrà applicare con i decreti legislativi di prossima emanazione.

Infatti, una volta entrata in vigore la legge delega, l’Esecutivo dovrà emanare, entro 18 mesi, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale, compresa la Riforma del Catasto.

Il citato articolo 6 è composto di soli due commi e demanda al Governo il compito di attuare “una modifica della disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale al fine di modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati”.

Come detto, sono due le direttive indicate:
1. Maggiori strumenti di controllo per Agenzia delle Entrate e Comuni, anche grazie a una maggiore condivisione dei dati e dei documenti;
2. Una integrazione delle informazioni già presenti nel Catasto dei fabbricati.

 


RIFORMA DEL CATASTO: UNA STRETTA SU IMMOBILI ABUSIVI E “IMMOBILI FANTASMA”

Stretta in arrivo per immobili abusivi e “immobili fantasma”. E’ la prima direttiva indicata dall’articolo 6 della legge delega fiscale. La Riforma del Catasto “punta a rafforzare il contrasto alle irregolarità e agli abusi, e a modernizzare gli strumenti di individuazione e controllo delle consistenze di terreni e fabbricati”, come annunciato dal premier Mario Draghi alla Camera durante il question time del 9 marzo scorso.

È il primo comma dell’articolo 6 della legge delega fiscale a incaricare il Governo a individuare proprio quegli “strumenti” da mettere a disposizione di Comuni e Agenzia delle Entrate per far emergere eventuali irregolarità e per favorire l’individuazione e il corretto classamento degli immobili.

Il sommerso che si intende far affiorare riguarda:
1) gli immobili attualmente non censiti o che non rispettano la reale consistenza di fatto, la relativa destinazione d’uso o la categoria catastale attribuita;
2) i terreni edificabili accatastati come agricoli;
3) gli immobili abusivi, con un coinvolgimento maggiore dei Comuni anche tramite specifici incentivi e forme di trasparenza e valorizzazione delle attività di accertamento.

La validità del monitoraggio del patrimonio immobiliare e, dunque, l’efficacia della Riforma del catasto, dipenderanno in gran parte anche da come saranno gestiti e condivisi i dati e le informazioni tra Agenzia delle Entrate e Comuni. La legge delega si limita ad indicare il criterio da seguire (“prevedere strumenti e moduli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle entrate e i competenti uffici dei comuni nonché la loro coerenza ai fini dell’accatastamento delle unità immobiliari”. Ma saranno i successivi decreti legislativi a progettare in concreto il nuovo sistema di controllo incrociato tra le amministrazioni.

Sul punto, infatti, vale la pena di sottolineare che la conformità urbanistica e quella catastale, anche se citate impropriamente come sinonimi, hanno funzioni e scopi differenti. La sfida sarà quella di far dialogare le amministrazioni in maniera organica e sistematica allo scopo di individuare e rimuovere gli abusivismi o le irregolarità immobiliari.

 

RIFORMA DEL CATASTO: RENDITA ATTUALIZZATA E VALORE PATRIMONIALE

La seconda direttiva mira a fornire una fotografia aggiornata e maggiormente realistica del valore degli immobili in Italia attraverso informazioni aggiuntive che dovranno essere abbinate all’attuale rendita catastale.

A prevederlo è il secondo comma dell’articolo 6 della legge delega fiscale, che è anche quello più contestato per il timore che un aggiornamento dei valori immobiliari possa condurre a nuovi balzelli.

Sul punto, va detto che il comma citato prevede espressamente che i dati aggiuntivi non siano utilizzati ai fini dell’individuazione della base imponibile su cui calcolare i tributi immobiliari. Per il futuro, un eventuale ritocco alle imposte immobiliari potrà avvenire con un’apposita legge.

Ad ogni modo, le informazioni integrative dovranno essere disponibili a decorrere dal 1° gennaio 2026 e dovranno affiancare il valore della rendita catastale (valore chiave per il calcolo delle tasse sulla casa).

Nello specifico, a ciascuna unità immobiliare dovrà essere attribuito anche:
1. il valore patrimoniale;
2. una rendita attualizzata in base, se possibile, ai valori di mercato.

Tali valori, inoltre, dovranno essere periodicamente aggiornati ogni qual volta vi siano delle modifiche alle condizioni del mercato immobiliare di riferimento. In ogni caso, però, il valore aggiornato non dovrà essere superiore a quello di mercato.

Un’agevolazione particolare è prevista per i proprietari di unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico (in base all’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio): per loro sono previste “adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario che tengano conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché del complesso dei vincoli legislativi alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro”.

La Riforma del Catasto, dunque, si prefigge di allineare i valori delle rendite catastali ai valori reali di mercato. E le nuove norme vanno ad incidere sul complessivo patrimonio immobiliare a livello nazionale.

Ma quante sono le unità immobiliari nel nostro Paese e qual è la destinazione degli immobili?
Uno studio periodico del 2019 condotto dal MEF e dall’Agenzia delle Entrate fornisce una fotografia recente della situazione.

 

Riforma del Catasto

DESTINAZIONE IMMOBILI IN ITALIA: 3 FAMIGLIE SU 4 VIVONO IN CASA DI PROPRIETA’

Tre famiglie su quattro vivono in una casa di proprietà. È quanto emerge dal periodico studio congiunto realizzato da MEF e Agenzia delle Entrate sul patrimonio edilizio italiano.

La settima edizione di «Gli Immobili in Italia» del 2019, infatti, offre una fotografia aggiornata del valore del patrimonio immobiliare nel nostro Paese e la destinazione degli edifici a livello nazionale.

I dati censiti nello studio si riferiscono al biennio 2014-2016, anni in cui il numero delle unità immobiliari possedute da persone fisiche supera di poco i 57 milioni. È un dato in crescita: nel 2013 il totale degli edifici presenti in Italia sfiorava i 56 milioni di unità.

La casa di proprietà pare sia una prerogativa soprattutto italiana: se nel nostro Paese i proprietari di casa sono in media il 72,9% del totale, oltralpe, nell’area UE, la media scende al 69,5%.

 

MA QUAL È LA DESTINAZIONE DEGLI IMMOBILI IN ITALIA?

Sempre secondo lo studio del MEF e dell’Agenzia delle Entrate, il 34,2% degli edifici sono destinati ad abitazione principale (in valore assoluto parliamo di circa 19,5 milioni di case).
Le relative pertinenze coprono una percentuale del 23,3% (poco meno di 13,3 milioni tra cantine, soffitte, box o posti auto), mentre gli immobili a disposizione (come le seconde case) rappresentano l’11% del totale (oltre 6,2 milioni di unità immobiliare).

Parlando sempre delle abitazioni principali, e in riferimento alla distribuzione per aree territoriali, al Nord si registra una percentuale più alta del rapporto tra il numero delle case utilizzate come abitazione principale sul totale degli immobili presenti (pari al 58,5%), seguito dal Centro (con il 56,8%) e dal Sud sono (con il 53,5%).

Un decimo circa del patrimonio immobiliare delle persone fisiche (il 10,5%) è, invece, destinato alle locazioni, e qui parliamo di una cifra assoluta che supera di poco i 6 milioni di immobili, a cui si aggiungono i circa 1,2 milioni di case concesse in uso gratuito a familiari o ad altri comproprietari (pari al 2,1% del totale).

 

GLI “IMMOBILI FANTASMA”

Un dato rilevante, che potrebbe particolarmente essere messo sotto la lente di ingrandimento della nuova Riforma del Catasto, riguarda il numero degli immobili la cui destinazione non è nota: stiamo parlando del 4,8% del totale che in valore assoluto significa quasi 2,7 milioni di immobili. Di questi, la maggior parte (oltre 2 milioni di case, pari al 3,7% del totale) non è stata riscontrata nelle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche. La causa? I proprietari degli “immobili fantasma” potrebbero essere residenti all’estero, potrebbero esserci stati degli errori negli archivi immobiliari oppure potrebbe trattarsi di casi di evasione fiscale. Da un punto di vista di distribuzione geografica, le “abitazioni fantasma” sono prevalentemente al Sud (se ne contano 1.192.000 unità immobiliari), mentre al Nord e al Centro sono quasi equidistribuite (553.000 immobili al Nord e 345.000 al Centro).

 

LO SCONTRO POLITICO SULLA RIFORMA DEL CATASTO

Per ben due volte nel giro di cinque giorni, la Riforma del catasto ha rischiato di essere stralciata (o notevolmente ridimensionata) dalla Legge delega fiscale all’esame della Commissione Finanze della Camera dei deputati.

La prima volta il 3 marzo scorso, quando con 23 voti contro e 22 a favore è stato bocciato un emendamento presentato da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia che prevedeva la cancellazione dell’art. 6 dalla bozza della delega fiscale. A salvare per un singolo voto la Riforma del Catasto è stato il partito “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi che nei giorni precedenti aveva cancellato la sua firma sull’emendamento soppressivo.

Il secondo strappo tra il centrodestra e il resto della maggioranza di Governo si è consumato l’8 marzo. Anche questa volta un emendamento puntava a togliere dal tavolo le rendite attualizzate e la rivisitazione dei valori catastali. A differenza della settimana prima, a presentarlo sono stati i deputati di Fratelli d’Italia e i fuoriusciti dal M5s ora nel gruppo “L’alternativa c’è”. L’emendamento puntava a eliminare il solo comma 2 dell’articolo 6 e non tutta la norma, anche se il cuore della Riforma risiede proprio nel comma 2. E anche nella votazione di martedì scorso, la Commissione ha bocciato l’emendamento sempre con 23 voti contro e 22 a favore.

Nonostante la crisi politica innescata dalla Riforma del Catasto, il presidente del Consiglio Mario Draghi punta dritto e bacchetta gli oppositori alla riforma.
L’introduzione dell’Ici, dell’Imu, l’abolizione dell’Ici, l’introduzione della Tasi, sono state fatte sempre su valori inesistenti, che non hanno senso, valori di 33 anni fa: questa procedura di applicare un coefficiente fisso su valori che non hanno senso deve finire, vogliamo trasparenza”. È il commento di Draghi che ha parlato il giorno dopo la seconda bocciatura in Commissione finanze durante il question time alla Camera.

Seppure la Riforma del Catasto sia diventata una “materia emotiva” tra le forze politiche in Parlamento, si deve ricordare che non rientra tra quelle abilitanti per poter ottenere i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È comunque collegata al Pnrr poiché il Governo l’ha inserita tra le “riforme di accompagnamento”, ovvero quelle che pur non rientranti nel Piano nazionale sono necessarie per realizzare gli obiettivi del Pnrr.

 

Riforma del catasto

 

SI PAGHERANNO PIU’ TASSE CON LA RIFORMA DEL CATASTO?

I timori più sentiti relativamente alla Riforma del Catasto sono quelli legati a un aumento delle tasse sulla casa. La domanda che ci si pone è: quali saranno gli effetti della revisione del Catasto e quali saranno gli effetti sulle tasche dei proprietari di immobili?

Il premier Draghi, durante il question time del 9 marzo 2022 ha escluso un aumento delle tasse sulla casa, dichiarando che l’obiettivo della Riforma sul Catasto è quella di “rafforzare il contrasto alle irregolarità e agli abusi e a modernizzare gli strumenti di individuazione e controllo delle consistenze di terreni e fabbricati.

Ciò che si prefigge il nuovo sistema catastale è una maggiore trasparenza e attualizzazione del Catasto senza toccare le tasche dei contribuenti.

D’altronde nel secondo comma dell’articolo 6 della legge delega fiscale è previsto espressamente che i nuovi dati e informazioni non devono essere utilizzati per fini fiscali. Dunque, i decreti legislativi emanati dal Governo non potranno contenere norme che incidano sulle tasse sulla casa.

D’altra, parte, però, faranno emergere le discrepanze di un sistema in cui il rapporto tra valore stimato di mercato degli immobili e il loro valore catastale ha un rapporto diverso da 1:1.

 

IL RAPPORTO TRA VALORE DI MERCATO E VALORE CATASTALE

Sempre nello studio del MEF e dell’Agenzia delle Entrate “Gli immobili in Italia” riferito al biennio 2015-2016, emerge chiaramente come, in media, il valore stimato di mercato sia circa il doppio del valore catastale, sia per le abitazioni principali, sia per quelle diverse dalle abitazioni principali (comprese le pertinenze).

In altre parole, il valore preso a riferimento per il pagamento delle tasse è la metà rispetto a quello deciso nelle compravendite immobiliari.
Intendiamoci, è un valore medio, il che significa che potrebbe nascondere differenze ancor più rilevanti. Infatti, in base ad altri dati dell’amministrazione finanziaria analizzati da “IlSole24Ore”, solo il 5% degli immobili in Italia ha un valore reale pari o addirittura inferiore al valore catastale, mentre un altro 5% ha un valore di mercato dagli 8 alle 10 volte il valore catastale. All’interno di questo enorme divario, la maggior parte degli immobili (circa il 50%) ha un valore reale compreso tra una volta e mezza e due volte e mezza del valore catastale.

Altri dati forniti sempre nel rapporto citato “Gli immobili in Italia” sono aggregati, invece, per regioni italiane. Partendo dalle case di abitazione principale, ne emerge che la regione in cui il valore, ribadiamo medio, di mercato degli immobili più alto è registrato per il Trentino-Alto Adige (quasi 339 mila euro), seguito da Valle D’Aosta (oltre 283 mila euro) e Liguria (quasi 262,8 mila euro). A fare da fanalino di coda è la Basilicata con un prezzo medio di mercato pari a 106.292 euro, preceduta da Molise (euro 111.909) e Calabria (euro 114.623).

Se si considera il rapporto tra valore di mercato e valore catastale è sempre il Trentino-Alto Adige in vetta alla classifica con un indice di 3,22, che vuol dire che il valore di base delle case su cui calcolare le tasse è di tre volte e passa inferiore al valore di compravendita. E, tra l’altro, è anche l’unica regione che ha un indice superiore a 3. Dopo di lei, infatti, hanno un rapporto tra VSM (valore stimato di mercato) e VIP (valore catastale) più elevato le Marche (pari a 2,21) e la Valle D’Aosta (di 2,15). In fondo alla classifica troviamo il Molise (pari a 1,49), il Friuli-Venezia Giulia (pari a 1,6) e la Puglia (pari a 1,68).

Se si guarda alla classifica delle abitazioni non principali (comprese le pertinenze) la situazione si discosta di poco.
In valori assoluti, le regioni che hanno un valore medio di mercato degli immobili più alto sono sempre il Trentino-Alto Adige (con i suoi 251.745 mila euro), la Liguria (con 171.229 mila euro) e la Valle D’Aosta (con 168.612 mila euro). Al contrario, le regioni con il valore medio di mercato più basso sono: la Basilicata (con 53.231 euro), il Molise (con 59.085 euro) e la Calabria (con 61.703 euro).
Nel confronto dei rapporti tra VSM e VIP, relativamente alle abitazioni non principali, troviamo ancora una volta in testa la Valle D’Aosta, sempre l’unica ad avere un rapporto maggiore di 3 (nello specifico di 3,33 che significa che il valore di mercato è oltre al triplo del valore catastale). Dopo di lei si trovano a pari merito la Valle D’Aosta e la Campania (pari a un indice di 2,22) e la Toscana con un indice appena inferiore (di 2,21). Gli ultimi tre posti della classifica spettano a Friuli-Venezia Giulia (con un indice pari a 1,73), Abruzzo (1,72) e per ultima la Puglia (1,71).

Snocciolando i numeri degli studi sul settore immobiliare, emerge una considerazione: valore di mercato e valore catastale non sono allineati.

Ma a cosa serve il valore catastale? Questo è il punto focale, soprattutto in tema di calcolo delle tasse.
Inoltre, il valore catastale non va confuso con la rendita catastale.

 

VALORE CATASTALE E RENDITA CATASTALE: COSA SONO E COME SI CALCOLANO

Diciamo subito che il “valore catastale” è il valore fiscale di un immobile, utile per calcolare alcune imposte legate alla compravendita immobiliare, o comunque a operazioni di trasferimento della proprietà di un immobile.

La rendita catastale è, invece, un valore che esprime il reddito attribuito a ogni immobile grazie al quale è possibile produrre un reddito autonomo.
Per tutti gli immobili censiti e accatastati, è possibile individuare la rendita catastale sia sull’atto di compravendita immobiliare oppure sulla visura catastale.
Se, al contrario, i beni immobili non sono censiti al Catasto, e dunque non è presente la rendita catastale, si deve ricorrere ad una rendita presunta per la determinazione del valore catastale.

ATTENZIONE!

Il valore della rendita catastale di un immobile può essere ricavato tramite la visura catastale da richiedere all’Agenzia delle Entrate. Grazie alla visura catastale è possibile risalire a dati che riguardano, oltre alla rendita catastale, anche al foglio, alla particella e al subalterno che individuano l’immobile in questione.

Riforma del catasto

Per calcolare il valore catastale bisogna partire dalla rendita catastale e moltiplicarla per una percentuale di rivalutazione e poi per un coefficiente previsto per la singola imposta.

In entrambi i casi, però, è bene non confondere il loro valore con quello del prezzo di mercato o compravendita.

Il valore catastale di un immobile è un dato necessario in caso di compravendita, di donazione o di successione poiché su tale valore si calcolano:

– l’imposta di registro che viene pagata quando si acquista una casa (calcolata in misura percentuale);
– l’imposta di successione che viene pagata quando si riceve un immobile in eredità (le aliquote e le franchigie variano a seconda del grado di parentela con il de cuius);
– l’imposta di donazione che viene versata dal beneficiario (le aliquote variano a seconda del grado di parentela con il donatore).

Oltre a tali funzioni, il valore catastale ha un’importanza fondamentale da un punto di vista fiscale poiché rappresenta la base imponibile per il calcolo di alcune tasse legate alla casa, prime fra tutte l’IMU (Imposta Municipale Unica).

Per calcolare il valore catastale di un immobile occorre valutare:
1. la rendita catastale;
2. la categoria catastale;
3. se l’immobile è un’abitazione principale o meno.

Infatti, il valore catastale si ottiene moltiplicando la rendita catastale per un coefficiente definito per legge in base alla categoria catastale di appartenenza dell’immobile, ovvero:
1. coefficiente di 115,5: per immobili ad uso abitativo (prima casa);
2. coefficiente di 126: per fabbricati rientranti nella categoria catastale A (esclusa l’A/10);
3. coefficiente di 176,4: per fabbricati categoria catastale B;
4. coefficiente di 126: per immobili categoria C (esclusa la C/1);
5. coefficiente 63: per fabbricati rientranti nella categoria A/10 (uffici);
6. coefficiente di 42,84: per fabbricati rientranti nella categoria C/1 (negozi);
7. coefficiente di 63: per immobili rientranti nella categoria D;
8. coefficiente di 42,84: per immobili rientranti nella categoria E;
9. coefficiente di 112,5: per terreni agricoli (in questo caso il coefficiente deve essere moltiplicato al reddito dominicale e non alla rendita catastale).

La rendita catastale dei beni immobili viene calcolata moltiplicando la consistenza catastale della casa per la relativa tariffa d’estimo stabilita dall’Agenzia delle Entrate in base alla zona in cui si trova l’immobile e alla sua destinazione d’uso.

Dunque, per calcolare la rendita catastale occorre prendere in considerazione i due parametri seguenti:
– la dimensione dell’immobile, la cui misura dipende dalla categoria catastale dell’edificio (può essere, infatti, espressa in vani catastali, metri cubi o metri quadri);
– un valore numerico, elaborato dall’Agenzia delle Entrate, che varia a seconda della zona in cui è ubicato l’immobile e alla sua destinazione d’uso.

ESEMPIO

Un esempio potrebbe chiarire la differenza tra rendita catastale e valore catastale e come calcolare entrambi i valori.

Ipotizziamo i seguenti parametri:
• Consistenza immobile (dimensione): 3 vani;
• Categoria catastale: A/2 (abitazione di tipo civile), classe 04;
• Tariffa d’estimo: 278,88673 euro per vano.

Per calcolare la rendita catastale di una casa classificata come tipo civile A/2, classe 04, occorre moltiplicare il relativo valore della tariffa d’estimo per il numero dei vani: 278,88673 euro x 3 vani = 836,66 euro (valore rendita catastale).

Ora, se si volesse calcolare il valore catastale, occorrerebbe per prima cosa calcolare il valore della rendita catastale rivalutata. Dunque, bisognerebbe moltiplicare il valore della rendita catastale per l’aliquota di rivalutazione pari a 5%: 836,66 euro x 5% = 878,49 euro (rendita rivalutata).

Infine, per calcolare il valore catastale, in questo specifico esempio, sarà necessario moltiplicare la rendita rivalutata per il coefficiente relativo all’abitazione di tipo civile A/2, con specifica distinzione nel caso in cui:
• L’immobile sia una prima casa: rendita rivalutata x il moltiplicatore 110: 878,49 euro x 110 = 96.633,90 euro (valore catastale per prima casa);
• L’immobile non sia una prima casa o sia una pertinenza: rendita rivalutata x il moltiplicatore 120: 878,49 euro x 120 = 105.418,80euro (valore catastale per altri immobili o per pertinenza).

In alternativa è possibile moltiplicare il valore della rendita catastale per i coefficienti suelencati che sono già comprensivi della quota di rivalutazione.

Uno dei punti chiave della Riforma del Catasto è anche quella di modificare per alcuni casi il calcolo della consistenza utilizzando non più il numero dei vani, ma quello della superficie in metri quadrati.

 

RIFORMA DEL CATASTO: I METRI QUADRATI NELLA VISURA CATASTALE

Dal 9 novembre 2015 le visure catastali si sono arricchite di due dati importanti espressi in metri quadrati:
1. la superficie totale dell’immobile (compresi i balconi, le terrazze, il vano scale, l’atrio di ingresso e il ripostiglio);
2. la superficie al netto degli spazi esterni (balconi e terrazzi).

Si è trattato di un’importante innovazione in attesa della Riforma del Catasto, che ha interessato circa 57 milioni di immobili accatastati nelle categorie A, B o C sui circa 61 mila totali registrati al catasto. Viceversa, sono rimasti esclusi dalla novità gli immobili censiti in Catasto, ma sprovvisti della planimetria catastale.

L’introduzione dei metri quadrati nella visura catastale è stata di certo un passo in avanti in fatto di trasparenza, anche se il loro utilizzo è maggiormente utile, ad oggi, più che altro per fini commerciali e non fiscali (ad esclusione della Tari, la tassa sullo smaltimento rifiuti che ha sostituito la Tares).

Infatti, ancora oggi ai fini fiscali si verifica un doppio binario di calcolo: la base di elaborazione dell’Imu resta la rendita catastale, la cui consistenza si calcola in base al numero dei vani, mentre la base di elaborazione della Tari si fonda sui metri quadrati.
Spetterà alla Riforma del catasto, presumibilmente, eliminare la discrepanza fiscale tra una rendita basata sul numero dei vani e quella parametrata ai metri quadrati.

 

IL CALCOLO DELLA TARI

Come accennato, la Tari si calcola sulla base dei metri quadrati e non dei vani.
Per il suo conteggio è necessario prendere come riferimento il valore della superficie al netto delle aree esterne e decurtare il 20% del suo valore. Il risultato ottenuto è la superficie da considerare ai fini Tari.
Tale riduzione forfettaria dovrebbe rappresentare la differenza tra i mq “commerciali” e quelli “calpestabili”.
Chiarendo il concetto con un esempio, se la superficie totale di un appartamento è di 130 mq, ma quella al netto delle aree esterne è di 100 mq, occorrerà diminuire quest’ultimo valore del 20%. La Tari dovrà essere, dunque, calcolata considerando una superficie di 80 mq.

 

IL CALCOLO DELL’IMU

L’IMU è l’Imposta Municipale Unica ed è calcolata prendendo a riferimento la rendita catastale che, come visto sopra, è parametrata ai vani.

Con la Legge di stabilità 2014 (L. n. 147/201) l’IMU non è più dovuta sulla prima casa, ad eccezione di quelle considerate di lusso e appartenenti alle categorie catastali A/1 (Abitazioni di tipo signorile), A/8 (ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici). L’imposta è dovuta, invece, sulle case possedute oltre a quella principale.
Con la Legge di stabilità 2016 (L. n. 208/2015), inoltre, è stato stabilito che il valore dell’IMU debba essere calcolato su una base imponibile ridotta del 50% per gli immobili ad uso abitativo concessi in comodato come “abitazione principale” ai familiari ascendenti e discendenti entro il primo grado di parentela (ovvero genitori e figli).
Se gli immobili sono concessi in locazione a canone concordato l’IMU è ridotta al 75%.

Ma come si calcola L’IMU? Si deve rivalutare la rendita catastale del 5% e il risultato deve essere poi moltiplicato per uno specifico coefficiente o moltiplicatore deciso dal Comune di competenza in base alla categoria catastale.
Le scadenze annuali per pagare l’IMU sono due:
• l’acconto va versato entro il 16 giugno;
• il saldo va versato entro il 16 dicembre.

 

COMPRAVENDITA: IL VALORE AGGIUNTO DEI METRI QUADRATI

Se ai fini fiscali, abbiamo visto, l’introduzione dei metri quadrati sulla visura catastale incide unicamente sul calcolo della Tari, ai fini commerciali invece incide positivamente a vantaggio dell’acquirente in fase di compravendita.
Nella visura catastale, infatti, oggi sono presenti i dati della superficie totale dell’immobile e di quella al netto delle parti esterne, oltre ai dati anagrafici del proprietario dell’immobile, l’ubicazione, la sezione, il foglio, la particella, il subalterno, i dati di classamento, la zona censuaria, la classe e il numero dei vani.

La presenza del valore delle due superfici comporta per l’acquirente:
• la conoscenza della superficie reale dell’immobile senza dover effettuare verifiche costose in termini di tempo e denaro per verificare che la metratura indicata dal venditore sia reale o “gonfiata”, commerciale o calpestabile;
• la conoscenza della superficie reale dell’immobile ai fini del calcolo del prezzo di compravendita; conoscendo la reale estensione della casa che si vuole acquistare si può calcolare il reale valore di mercato grazie anche alle quotazioni immobiliari OMI, pubblicate semestralmente nel sito dell’Agenzia delle Entrate.