Le Imprese non sono il bancomat dello stato

[custom_frame_center shadow=”on”] Giorgio Squinzi Confindustria[/custom_frame_center]

Tasse troppo alte ed un sistema fiscale che rende i contribuenti sempre più diffidenti verso il fisco; il “male economico” di un livello di evasione che ha “conseguenze drammatiche su equità e sviluppo”; imprese come “bancomat per lo stato”. Sono dure le parole del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore ha tratto le sue preoccupate conclusioni sull’allarmante situazione fiscale italiana. “Occorre una riduzione del prelievo fiscale che oggi imbriglia lavoro e imprese e frena l’economia, quasi a voler punire chi produce ricchezza – ha sottolineato Squinzi – C’è bisogno di regole semplici e stabili, invece dell’attuale giungla normativa”.

A favore delle imprese e dei contribuenti

Mi voglio rendere interprete del grido di dolore delle nostre imprese che operano sui mercati globali

ha detto il capo degli industriali. Perché la difficoltà del fare impresa con un’aliquota fiscale al 68%, e con regole tanto complicate ed incerte, smetta di frenare gli investimenti esteri e di bloccare il rilancio dell’economia. A favore delle aziende, e dei contribuenti tutti, Squinzi incalza su una serie di manovre. In primis, quella avanzata dalle parti sociali di destinare i proventi della lotta all’evasione fiscale al calo del costo del lavoro. La partita si deve poi giocare, in parallelo, sul campo del ripristino di “un rapporto di fiducia tra fisco e contribuenti”, e dunque sulla valorizzazione di un fisco “più equo, semplice e chiaro”.

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L’evasione fiscale

Il livello di evasione italiano, maggiore rispetto agli altri paesi europei, va fronteggiato secondo Squinzi attraverso la semplificazione di un sistema fiscale divenuto troppo oneroso e complesso, ed un abbassamento ed una dislocazione più equa delle tasse. Altrimenti chi rispetta le regole – ovvero imprese e contribuenti onesti – continuerà a subire ingiustamente tutto il carico di questo “male economico”. Se l’economia sommersa, secondo stime Istat, ha superato la soglia dei 250 miliardi di euro (ovvero oltre 120 miliardi l’anno in base alle stime del centro studi di Confindustria), al netto del sommerso la pressione fiscale sui contribuenti che versano le imposte aumenta dal 44.5 al 53.5%, ponendo il nostro paese subito dopo la Grecia. E’ l’Iva la tassa più evasa, per un gettito perso pari a circa 35.5 miliardi l’anno. La seguono a ruota l’Irpef (31.5 miliardi), l’Ires (8 miliardi) e l’Irap (6.3 miliardi). “L’evasione fiscale convive con l’inefficienza e la corruzione della macchina amministrativa – ha commentato Squinzi – e mina alla base il rapporto tra cittadino e stato. Bisogna avviare un circolo virtuoso”.

Cosa vuole Confindustria

Ai ripari, secondo gli industriali, si può correre solo riducendo il cuneo fiscale, rendendo più equo il rapporto tra fisco, imprese e contribuenti, e semplificando la “giungla normativa” del sistema fiscale. “Chiediamo l’immediata e automatica destinazione dei proventi della lotta all’evasione al calo della pressione fiscale, in particolare del cuneo, e puntiamo ad una norma operativa già nel 2014 – fa sapere Squinzi – La promessa di una riduzione del prelievo può incentivare una maggiore fedeltà fiscale”. Fedeltà che passa anche attraverso la trasparenza del rapporto col fisco, perché se“non serve una lotta formale all’evasione fiscale, basata sul moltiplicarsi di adempimenti, controlli e sanzioni” è invece fondamentale configurare “regole semplici e stabili invece dell’attuale giungla normativa che induce in errore e disincentiva la fedeltà fiscale. Non solo: va ripristinato un rapporto di fiducia tra fisco e contribuenti abbandonando l’approccio vessatorio da polizia tributaria per tendere ad un modello di amministrazione fiscale e moderno”.
Altro tema da affrontare nell’immediato, secondo Confindustria, è l’approvazione della delega fiscale, “un primo passo verso la semplificazione di una materia troppo complicata e stratificata nel tempo. La prima necessità per le imprese è avere un fisco più equo, più semplice, più chiaro. Su questo è stato fatto ancora troppo poco. Apprezziamo che nella delega fiscale si introduca una metodologia pubblica e trasparente di rilevazione dei dati che consentirebbe di quantificare le somme derivanti dalla lotta all’evasione e di valutare l’efficacia delle strategie”. In merito alle sanzioni, “il sistema sanzionatorio tributario va rivisto, affinché le sanzioni siano correlate all’effettiva gravità dei comportamenti. E’ evidente la differenza tra chi occulta intenzionalmente i redditi al fisco e chi invece versa minori imposte per errori ed omissioni involontarie o ha problemi di liquidità”.
“Oggi il fisco frena l’economia – ha sentenziato Squinzi – Faccio l’esempio dei capannoni: gli immobili strumentali all’attività d’impresa sono penalizzati dal carico fiscale più oneroso, dall’Imu alle imposte sui rifiuti, sul reddito. Le imprese vogliono pagare le tasse, ma vogliono farlo in modo semplice e senza costi aggiuntivi. Un altro esempio è quello dei crediti d’imposta: la legge di stabilità taglia retroattivamente una serie di agevolazioni a favore delle imprese, tra cui il credito d’imposta per progetti di ricerca già realizzati. Come si può pensare di rilanciare il paese se si tagliano retroattivamente, violando la fiducia dei contribuenti, gli investimenti in ricerca e innovazione di cui abbiamo più bisogno? Altro esempio, gli acconti d’imposta. Non è più accettabile procedere con questa prassi – conclude il presidente di Confindustria – che mette in crisi le imprese aggravando i problemi di liquidità”.

Simona Di Michele

Fonti Il Sole 24 Ore