Si fa sentire, la preoccupazione di Giorgio Squinzi. Il presidente di Confindustria, terrorizzato dal trend dell’economia reale italiana ed in particolare da quella del nord, è tornato ad incalzare l’esecutivo con una richiesta, sempre la stessa: attuare in fretta misure per la crescita. E’ una questione di “sopravvivenza” del paese, ha specificato Squinzi, perché “in pianura padana, lungo l’asse del Po o lungo l’asse della via Emilia, si gioca la partita per essere ancora il secondo paese manifatturiero d’Europa”.
Cosa chiedono le aziende
Secondo quanto dichiarato dal rappresentante degli industriali, la crisi che non lascia il paese dal 2008 non ha visto risolversi di molto i problemi delle imprese. Le quali non smettono di chiedere cose semplici, che “dovrebbero essere quasi scontate”: snellire una burocrazia asfissiante, rimodulare il fisco ed il costo del lavoro, creare infrastrutture “degne del secondo paese manifatturiero d’Europa”, incentivare gli investimenti e puntare su una digitalizzazione all’altezza dei paesi competitori. Insomma, l’urgenza è quella di promuovere “riforme strutturali in grado di liberare forza e potenzialità delle imprese”, in grado di dare man forte ad un sistema produttivo che, seppur con tutte le difficoltà in cui ha versato in questi anni, non “ha rinunciato a rimboccarsi le maniche”, ma “vuole continuare a lavorare” e “operare per il benessere del paese”.
[b_cciaa_indagini]La produzione italiana dal 2008 ad oggi
[pullquote style=”left”]+14 % l’aumento dei fallimenti nel 2013.
-51,6% la diminuzione dei prestiti concessi alle imprese a settembre 2013.
[/pullquote]E’ la manifattura il settore più colpito dall’inizio della crisi, con una perdita pari al 25% della produzione. E se non sono mancati piccoli quanto importanti segnali di ripresa dai settori alimentare, farmaceutico, della meccanica di precisione (emblematico è il caso delle macchine d’imballaggio, che hanno chiuso il 2013 con un + 4.5 miliardi di fatturato, un export superiore al 90%, ed un terzo della produzione mondiale), il rischio paventato da Squinzi è quello di veder crollare tutto il castello, e dunque la resistenza dei più forti, a causa della mancanza di “un sistema paese e di una seria, incisiva, continuativa politica industriale”.
Ciò a cui si deve guardare, secondo il presidente di Confindustria, non è insomma solo la questione del nord. A rischio è l’intero paese, su cui vanno prese decisioni immediate e strutturali, che ne scongiurino definitivamente il rischio di sopravvivenza.
Simona Di Michele
Fonti Il Sole 24 Ore